venerdì 29 gennaio 2010

L.



Poi mi vengono in mente tutte le cose che avrei voluto scriverti, e sento l'impulso di inviarti una mail in cui riversarti addosso tutta la mia tristezza, ma questo sarebbe un ricorso storico, un clichè. Ma io per te proverò sempre qualcosa di autentico. Chiamiamolo sentimento dantesco, non c'è altro modo per definirlo. Qualcosa di folle e irrealizzabile.
Che però ti spacca il cuore.
Faccio fisica masticando i ricordi.

Lemon.




Poi abbiamo finito pure le scuse. Su quel banco il ticchettio metallico delle tue scarpe da tic tac mi ha provocato una crisi di panico. L'omicidio è il finale perfetto di un film comico. Hai mai parlato con un muro per poi accorgerti che era tuo padre? Ma ci sono binari che non vogliono ritornare e pagine di libro che non si faranno mai leggere. Come quando ti domandi l'utilità che Battisti trovava nel reggere un fiore in bocca. Forse doveva testare anche lui una dentiera. Le pubblicità rovinano le proprietà magnetiche del cervello e ci risuona nelle vene una sinfonia polifonica della stessa famiglia di Nokia Tunes. Calcolami la varianza dei tuoi pantaloni a pois. Poi finirà che smetterò anche di bere per non battere ciglio all'autogrill davanti a quella collezione immacolata di dischi di De Andrè. L'arte dei musei è solo quella ufficiale. Ho letto racconti che nessuno pubblicherà mai che valgono più di parecchi romanzi famosi sul mercato. Poi mi faccio una sigaretta e penso al tempo atmosferico che non coincide con quello meteorologico, non ricordo com'era la spiegazione. Volevo semplicemente dirti che gli scudi di vetro non nascondono gli sguardi che si scontrano. Poi ti si ferma il sangue e bruciano anche le costole e tutto ondeggia al ritmo del cursore del Nintendo Wii per allenarsi a fare il pugilato. Vasco Rossi non è mai stato così prevedibile e Vasco Brondi non risponde ai messaggi su Facebook. Mi domando cosa sia successo agli aristogatti, che fine abbiano fatto. E tu mi dicevi che avremmo fatto un sacco di assurdità fino a scioglierci l'uno nell'ombra dell'altra. Poi ridiamo guardando orologi d'oro in una vetrina che si spalanca sulla città, per nasconderci dagli sguardi indiscreti delle automobili e dalle miriadi di discussioni e obiezioni e illazioni che, tu sapevi, mi avresti scaraventato presto addosso. Allora non era ancora momento, e quindi godiamoci un campari rumoreggiando a due passi dal comune. Poi ricordi, sbocciavano le viole. Ma questo De Andrè lo sapeva da prima che nascessimo, soprattutto prima che nascessi tu, era intossicamento da troppa televisione spazzatura, poi ti avvicinavi con la chitarra e mi dicevi che avresti suonato per me, non avevi idea delle note, ma avremmo improvvisato, come sempre, cosa c'era di meglio nel costruirsi la propria romanza personale tra un pacchetto di sigarette e di cioccolatini alla ciliegia. La quaresima metterà in allarme tutte le suore. Le mestruazioni la smetteranno di arrivare. E ci sentiremo tutti in croce appesi ai nostri problemi, e alle buste della spesa, mai così gialle e pesanti.Ti scrivo da dietro una coltre grumosa di pensieri, ad un tratto mi sono resa conto di non star parlando al telefono con l'ente per la tutela di consumatori di emule, è stato piuttosto imbarazzante, allora ho dovuto parlare dei problemi con i miei parenti, e delle mille porte che sogno la notte senza un particolare motivo. Potresti credere di essere anormale. Pazzo. Questo magari ti fa sentire speciale. Poi cosa vorrai ancora? Fiori? Che ne dici delle rose? E magari il premio Nobel. E cos'altro, dimmi che prendo nota. Poi ti rendi conto che l'unica cosa sbagliata in te è che sei troppo a posto, e ti ritrovi a lanciare Molotov a caso sulla folla credendo di essere in una manifestazione storica, di quelle tipicamente americane con Lincoln e la sua barba irrimediabilmente incolta, il cilindro chilometrico e tanta rabbia negli occhi perchè nessuno ha fermato quel proiettile a tempo debito. Saremo vestite da supereroi e il nostro avversario sarà il Luogo Comune, e ci renderemo conto che le sue armi sono le nostre e che forse non stiamo combattento con niente oltre che contro noi stessi.
Perchè bisogna accettare che no c'è diversità, nella distribuzione lineare di variabili continue se sommi o sottrai tre volte la varianza cumuli circa il 99.7% dell'area sottesa alla curva, e credimi, noi siamo sotto quella curva, non c'è mascara che tenga.
Poi il colesterolo trasuda dalle tue scarpe e mi viene da pensare che sì, comprerò quel fottuto rosario elettronico e andrò in chiesa e mi cumulerò allo spirito di bellezza noto a tutti come L'Oreal, e sì, fingerò di crederci per tutti voi, compreso te che meriti la bolla papale d'esilio perenne.
Sai che un sinonimo di orgasmo è climax?
Le figure retoriche sono pornografia.

martedì 26 gennaio 2010

Nel frattempo.

In effetti sono scossa.
Un malessere generalmente diffuso, ma nessuno avrà la soddisfazione di consigliarmi su cosa fare, resterò a casa a studiare la Poisson e quel che la segue senza battere ciglio, senza piangere, senza aprir bocca. Senza altri luoghi comuni.
Non ho nemmeno le scarpe con cui giocare. I lacci hanno qualcosa di morboso.
Mi viene in mente che mille foto le ho scattate solo per te.
Da un po' ho smesso di devastarmi. Con gli orari impossibili. I cicchetti di rum. O le pellicole cinematografiche cromatiche. Non che stia meglio, ma nemmeno peggio. Hai presente quando i Griffin sono andati in Purgatorio? "Non è bello, ma nemmeno brutto. E'... così così".
Il così così forse è il migliore dei mondi possibili. Leibniz ci ha bloccato la crescita uccidendo Kenny e tutte le nostre speranze di riscossa.
Anche se non sembra io la musica la ascolto poco e con disgusto.
Deve essere qualche problema al livello del dna.
Qualcosa tra la L e la N.
Poi ci sono lettere che resteranno per sempre impresse sulle braccia, quasi fosse la corteccia di una quercia.
Mi fa schifo ammetterlo, ma si, stavo perfino dimagrendo un anno fa.
Poi invece qualcosa, probabilmente il tuo silenzio, mi ha bloccata e convinta che sarei stata una nullità comunque. Ho rincominciato a fregarmene ed ora eccomi qui un anno dopo, peggio di prima, senza alcuna voglia di fermarsi. Voglio diventare un fenomemo da baraccone probabilmente.
E nel frattempo guardo quelle foto in cui mi vedevo sempre troppo grassa ed ora mi accorgo di quello che gli altri vedevano. Che il corpo si era affinato, la vita ristretta, le gambe normalizzate. Ed avevo uno sguardo nuovo, di quelli delle ragazze che scoprono per la prima volta cosa significhi essere donne.
Bando alle ciance, fanculo questo post.
Riprenderò la mia dignità molto presto.
Nel frattempo, fanculo.

lunedì 25 gennaio 2010

Le tende vermiglie parlavano di noi.



Le luci sputavano pioggia su Milano.
Negli appartamenti di Venezia si rischiava di affogare tra i nostri liquidi organici.
Quando sognavi quella neve a Ferrara.
Il ritmo marziale dei cuori che esplodono.
Avevi la pelle colorata dal monossido di carbonio, la stufa non è mai stata nostra amica. Mi dicevi che avremmo vissuto per sempre in quella camera, le tende vermiglie parlavano di noi.
L'ossessivo rasentava la follia.
Fanculo l'oroscopo e i caratteri decadenti delle sette di sera.
Le previsioni meteorologiche che ti facevano impallidire le labbra.
Prendi un'aspirina, osservala sciogliersi nel fragore frizzante del principio attivo.
E fuori piove e tu vorresti essere lasciata stare, sai in quei vicoli dove prima o poi vanno a morire i cani.
E di studiare non c'era verso. Strapparsi i capelli e riattaccarsene altri cento.
Sarai per sempre il mio sovversivo amore, te ne rendi conto?

sabato 23 gennaio 2010

Il cuore nell'esofago.




Ed era qualcosa di imbarazzante sentirsi il cuore nell'esofago.
Il problema è scoprirsi a provare vergogna non del mondo ma di sè stessi.
Mi mangiavo le mani mentre mi blateravi di come covariano insieme La Nina e la Pinta.
Fiorucci aveva la passione di ripetere Celebrities ogni due per tre.
Tu masticavi qualcosa che sapeva vagamente di menta.
Avevi degli occhi che colavano fuori tipo piombo.
A correre sui binari si rischia di inciampare e la Locomotiva arrancava tra il vapore, tra le porte indecifrabili da decrittografare e nel viavai frenetico delle scale mobili e degli scalini a griglia degli Eurostar, destinazione la città incivile, prendete il biglietto e la maschera antigas in cui coagulare senza far rumore.
Poi ti saluto sorridendo e cercando di nascondere la colonna vertebrale e le mestruazioni.
Abbiamo bisbigliato maldestramente prima che si scollassero tutti gli umori ippocratici dalle tasche e inserissimo la terza.
Infine le porte di plexiglass hanno inghiottito le parole e la notte ha ripreso a carburare, ingranaggi ticchettavano, le strozzature nella gola si sono colmati, i benefici degli anni dieci che mi parevano tutti ingloati nella visione elettrificata di una qualche centrale alle porte di una città anonima, metallo e kilowatt, la tua voce al telefono, non sto sentendo, non sto pensando. E sai di star vivendo, by heart, come dicono gli inglesi, loro non dicono a mente, parlano di cuore c'è una inalienabile differenza.
Ebeti sorridiamo alle lune di latta che ci sono state promesse.
Intanto alla stazione sbuffavano in cinquecento, le sigarette scarseggiano, la tua dialettica non veniva meno e mi guardavi con un'aria da scienziato pazzo. Avrei voluto essere vento, invece sorridevo al nulla respirando piano.

martedì 19 gennaio 2010

L la vendetta.

Sarà che non ho dormito bene durante queste notti e probabilmente il sonno diventerà regolare solo dopo giovedì e solo giovedì notte, ma oggi mi ha preso la malinconia più nera, oltre la totale incapacità di relazionarmi normalmente con il mondo. Ho aggiornato la libreria dell'ipod, mi sono detta, perchè non mettere pure The Dresden Dolls?
Non avrei dovuto farlo, perchè ora appena sotto la cassa toracica o gabbia o comunque voi la chiamiate c'è come un vuoto che mi impedisce di respirare, e brucia, ed appare ogni volta che ricordo nel bene o nel male qualcosa o qualcuno a cui ho tenuto particolarmente, davvero.
Sai L, in fondo credo che ti vorr bene nonostante tu sia sempre stato il peggiore dei miei amici. Quello non presente fisicamente, era tecnicamente impossibile che tu fossi al mio fianco, ma ci sei stato, o voglio illudermi che sia stato così, almeno per un periodo. Anche se lo so, mi scaricavi addosso le tue ansie e malumori e io li metabolizzavo per entrambi, spesso finendo a soffrire io in silenzio, per una malsana, morbosa empatia. Sai L, hai gusto per i gruppi musicali, mi mancano le canzoni ricevute dall'alto, quelle in russo spinto e le cover dei sex pistols made in islam e le incomprensibili ballate greche che poi non ascoltavo per scetticismo radicato da qualche parte sotto la milza.
Insomma L, mi manchi, ma ho una mia dignità e non cerco più nessuno, soprattutto i bastardi dichiarati del tuo calibro.
Non parliamo di bastardi, perchè la lista potrebbe estendersi alfabeticamente anche alla lettere seguente la L, non la nomino solo per il rispetto che provo nei confronti di siffatta lettera. Sono dopotutto la fondatrice del Mismo.
Oh.
Devo cercare il libretto, a proposito.
Vado a far smettere di sanguinare i pensieri sgranocchiando qualcosa di ipercalorico.
Tanto già sono abbastanza rotonda da non poter diventare peggio di così.

sabato 16 gennaio 2010

Piromani si muore.

Ruotavano tutte le stelle. Ci trafiggevano, schizzando tra i plotoni interminabili di lampioni. Sai le lampadine al fosforo che stimolano la risposta immunitaria di secondo tipo, la memoria. Ti parlavo di prioni e anticorpi con il sorriso stampato sulle labbra. E' indescrivibile la sensazione di scoprire che ammassi molecolari semimicroscopici sono più intelligenti degli esseri viventi. Noi che andiamo apparentemente contro il secondo principio della termodinamica ma che tuttavia seguitiamo ad appestare queste strade sbilenche con discorsi presocratici e postromantici che sanno di fumo. Avevo gli abiti sdruciti che sapevano di cannella. Le scarpe no. Umide, malformate dalla pioggia e dai mesi. Le avrei sbattute fuori nel grande bidone giallo, con il disegno della suora con i baffi che ci caccia dal refettorio e con te, che non mi rispondi e probabilmente pensi che sia giusto così.
Poi mi parli degli enzimi che smaltiscono l'etanolo e che derivano in parte dai mitocondri e lavorano più lentamente degli altri, è per enzimi con alcune mutazioni diverse e per la loro concentrazione che ognuno si ubriaca quando cazzo gli pare.
Gli enzimi più ubriachi di me e te messi insieme quando non ci si abbottonano più i pantaloni. I santi in paradiso specialisti dei rimedi per sifilide lebbra e peste. La triade procede secondo uno schema preciso, quello del consumarsi preferibilmente entro il e del leggere il foglietto illustrativo. Le prescrizioni e le proscrizioni. Dobbiamo andare a far la spesa all'Esselunga, questa città ci sale sulle ginocchia ubriacandoci di nebbia. Ma quanto fa piangere l'Antologia di Spoon River. E non capisco perchè ogni essere del pianeta si senta in dovere di commentare quando mi vede con una sigaretta. Poi mi lacrimavano gli occhi, ma era troppo compromettente piangere, lì davanti, in quel momento, storia della medicina non aspetta.
Dovrei passare più tempo in biblioteca che alla macchinetta del caffè.
Gli schizzati dopotutto finiscono a dormire sulla collina.
E Roberta mi scrive in commenti puramente casuali estratti da campioni ben distribuiti sulla popolazione che in vino vomitas e piromani si muore.

venerdì 15 gennaio 2010

Come quando eravamo a Milano.

Poi tagliarono i fondi, le conversazioni via internet vennero meno e mi buttai a capofitto sulle formule chimiche tentando un contatto intimo con la statistica con scarsi risultati. Respiravo nebbia e parlavo vagamente di disfunzioni ormonali e mestruazioni al telefono, masticando schifezze per allenare la mandibola. Mi crollavano tutti i miti dal soffitto e i citofoni non avevano abbastanza voce per parlarti. Dopotutto abbiamo deciso di smaltirci, la raccolta differenziata impedirà l'arresto del mondo nel 2012.
Qualche volta si passeggia, verso le nove e mezza di sera, vagabondando per le viuzze tutte uguali di Milano costellate di locali squallidi che sanno di sconfitta. Non so se consegnarmi volontariamente o attendere che mi scovino divorata dai pastori alsaziani.

sabato 9 gennaio 2010

Vuota.

Rabbia. E poi dicevi che Le colline hanno gli occhi era solo il titolo di un film. Illusa, delusa, livida, astiosa. Prendo un giornale e l'accartoccio per tedio. Vaffanculo insomma. Poi non vuoi uscire perchè fa freddo. Ma vaffanculo pure a te. Mi mancherai dopotutto. Anche tu. Non dire queste cazzate. Poi spiegazioni e accuse e scuse senza ritorno e andiamo a sfasciarci d'alcol e amore all'Hotel Supramonte, dove le tapparelle chiudono due occhi perchè la notte è ancora lunga e siamo i padroni del tempo, hic et nunc, domani è un altro giorno. Fottiti pure tu Via col vento. Poi domani tornare in quella bolgia. Dove i fiori sono tumefatti e i garage sono arte neoclassica. Mi si spaccano le labbra al sol pensiero.
Tutti a morire di freddo alla stazione centrale, a ignorare il riflesso dello specchio, nascondere quel cazzo di vetro riflettente che poi scopri è un condensatore se ben ricordo con un drappo cremisi.
Mi si sono incollati i capelli al viso, rossa di vergogna. E voi ridevate di me. Sputtanate anche tutti i miei segreti, tanto io gioco al cellulare.
Mah.
Se non altro V. mi ha fatto morire.
"Emme, ma tu lo sai che sono gay?"
"Noooo!"
"Ah beh. E lui è il mio ragazzo"
"Auguri"
Per due secondi vederti solo per sentirmi più idiota del solito.
Ma dopo mi chiedo se in me c'è qualcosa di sbagliato. Sono solo una melodrammatica cronica. Incurabile. Quando mi pareva necessario essere in quella piazza innevata a parlarti degli inverni e poi in un secondo, d'accordo dopo un anno, eccomi di nuovo sulla giostra a struggermi per questo maledetto. Niente.
E' normale che si annulli tutto e ricominci da capo, cambiano i visi e le situazioni ma è sempre la stessa merda?
Ho paura di essere semplicemente vuota.
E lo sono. Eccome se lo sono.

Cavità Amniotiche.




Le cavità amniotiche delle tue lettere rimandano alle cavernose cabine delle fototessere in cui mi era sembrato di vederti e ti avevo parlato e forse ti ho perfino detto che piromani si muore e si muore per delle idee vabbè ma di morte lenta. Quando ti ostini a trascendere il senso letterale per regolare l’orologio analogico così ci catapultiamo in orario nel futuro e distribuiamo goldoni all’entrata di uno squallido autogrill. E i maniaci alcolizzati ti fanno biglietti e chiedono qualcosa in cambio e se bisbigli in russo loro svaniscono nel buio del loro alito mefitico. E dopo forse ti inseguono e se sei fortunata non ti prendono. Questa città fallocentrica basata sull’Esselunga. Una borghesia di procioni addestrata a tagliarsi le vene, a ricamare tumori di stoffa per rialzarsi dalla crisi e rincasare con un pezzo di cioccolata perché è l’anniversario della nascita dell’inventore delle nacchere. Che dopo nei cappotti di lana il senso di riconquistare lo spazio te lo spiegano in un istante le dritte di Paolo Fox. Ma noi avevamo gli occhi troppo secchi e De Andrè era anche lui ad impiccarsi in garage recitando in un amabile genovese le poesie di Vian. Addentare i reciproci malumori perché la statistica poteva farci meno male. E non stupirti che la mediana ci taglierà a metà i polsi e sentirai la media dei tuoi pensieri sballata verso ovest senza contare che non eri in grado di spiegarmi perché l’alcol ruba il posto alla cassa veloce né cosa avevo fatto per prendere la tubercolosi mentre biondeggiavano le pagine gialle nei campi bianchi. Parlami ancora di quando hai urlato al cielo che stavamo tutti affogando

Non Solum, Sed Etiam.

Mi sono lavata i capelli.Stronfinando come se dovesse uscirmi il sangue da ogni poro.
Hai mai avuto la sensazione di essere affetto dalla lebbra?
Scarnificavo le immagini che baluginavano sul vetro. Istantanee improvvise. Vorrei che la mia mente fosse solo meno affollata, una volta tanto. Sto perdendo coscienza del latino, quando inizi a vacillare sulle declinazioni e sul numero delle u in una parola allora è la fine, stai diventando scemo.
Ed io sto diventando scema, ma non avevo sospetti a riguardo, era lampante Watson e non saranno le tue obiezioni a farmi cambiare idea.Rinuncio al senso comune, e parto per la città incivile. Domani.Lontano da tutte le persone che amo.Non che sia particolarmente affettuosa con parenti e amici, anzi, se vivessi in un romanzo probabilmente sarei la malata di mente di turno che rifiuta ogni forma di contatto, avete presente la madre di Consalvo dei Vicerè?
Però, mi bastava vederli per sentirmi bene. Insomma.
Ho in programma di ubriacarmi, non ho alcuna fiducia in questa sera però.
Poi ho capito che sono l'unica che io conosca a mantenere la parola data.
Dammi una sigaretta Copenaghen.

giovedì 7 gennaio 2010

Uccidimi colesterolo.




Collimavano le opinioni sul significato di somatizzare e avevo la pelle vagamente tumefatta, ma questo non era un problema. Pensavo che ci servirebbero dei codici speciali con cui respingere gli interessamenti delle persone più svariate che popolano queste quattro strade di campagna. Te ne sei accorto, sono pronte a dimostrarsi più acide dei limoni e a venderti tutte le robacce improponibili tipo le sottane e i mutandoni delle nonne tanto per ficcartelo nel culo come ogni essere umano degno di rispetto.
Ho come la sensazione di star perdendo la vista, traballa tutto, per di più non riesco a prendere sonno e mi fa spesso male il fegato. Mi domando se non sia appendicite, dire peritonite fa più da supereroi e mi spengo l'ennesima sigaretta addosso e ultimamente mi dici che sono sbadata e che mi colano gli occhi nelle pozzanghere come se fossero fatti di olio. Mentre mi guardavo attorno e mi parlavi ed era necessario muovere le palpebre a caso posando le ciglia sulle buche della strada, il bar illuminato, la cameriera che è una gran puttana, le macchine devastate dalle incomprensioni tra guidatori, mi è caduta sui pantaloni, ho detto cazzo, ti sei messo a ridere, sei proprio scema dici. Nel frattempo ascolto musica random e accendo la tv per sorbirmi programmi spazzatura spegni-cervello, aspetto sabato con una certa ansia e preparandomi ad una delusione già diagnosticata.
Poi le confessioni e le telefonate e resta tutto identico a prima e forse più complicato. Roviniamoci l'appetito con un tramezzino affogato nella maionese. Uccidimi colesterolo, uccidimi.
Dopo ho finito per contare i granelli di polvere che mi ballavano sul naso e a stupirmi della pronuncia corretta della parola equipment mentre qualcuno si alzava per andare al liceo, con gli occhi gonfi e rossi e poche buone intenzioni nello zaino.
Si organizzano pullman per fare fuoco.
Sentendo questa frase idiota ho iniziato a ridere fino a non avere più voce.

mercoledì 6 gennaio 2010

Vestite di Lividi.



Stasera sei apparso così d'improvviso, mentre contemplavo il vuoto con una certa rabbia repressa. Il solito cipiglio a due passi dagli occhi. I capelli che non dovresti tagliare. Mi si è rivoltato lo stomaco e non riuscivo ad alzare gli occhi da terra. Parlavano a due passi di furti di sterei e impianti per automobili fatte a pezzi. Di risse. Di denunce e di sangue. Il kebab sapeva di cacca. Mi appendevo come le buste della spesa al tuo braccio e ci fissavamo fingendo astio. Poi mi hai detto che non eri ubriaco a capodanno ed io non ho voluto indagare oltre. "Mi pareva il contrario" ho biascicato fissandomi le scarpe perennemente sporche.
Nel mezzo del diluvio di vaffanculo siamo andati a sederci per fare a botte con più calma.
Poi cercavo di stirarti la mano e tu ridevi forte della mia incompetenza.
Ti parlavo di un'autopsia, della faccia rivoltata e degli occhi che si staccano. Degli esami da sostenere non appena il cielo masticherà la luna tra le sue fauci. Mi faceva male l'intestino e mi chiedevi se non fossero le mestruazioni precoci. Avrei voluto avere maggiore coraggio in quel momento, invece mi sono accontentata di strimpellare idiozie per alcune ore.
Con la tragedia nelle vene e il fegato stravolto dall'alcol posticcio di ieri sera, ci guardavamo appena come quando c'è del sesso in televisione e tua madre ti siede accanto e scruta le tue reazioni.
Poi mi dicono che ho una cotta per te e io balbetto qualcosa di incomprensibile per giustificarmi. Non credo sia questo. Non ho nemmeno voglia di saperlo. Tanto ora sei andato via, ed ero in macchina anche io, Paolo Nutini che blaterava in inglese qualcosa che sapeva vagamente d'amore. Ma anche le cicche usate conservano quell'aroma bizzarro di zucchero e gomma e schifezze, dopo la sparizione dei coloranti e degli additivi chimici. Avevo le guance rosse mentre l'aria mi sferzava addosso con furia questo freddo contenibile. Si inabissavano le strade. Le piazze deserte e gli alberi rachitici arricchiti di lucette lampeggianti. Sono patetiche ora che ci rifletto appena, e mi fanno male, questi giorni sono perduti, andati via per sempre, e non c'è bisogno di una canzone per prenderne atto. Chissà se manterrai la promessa. Nel frattempo ascolto qualcosa e fumo troppo, e magari andrà via la sensazione di aver perso anche l'ultimo brandello di dignità.
Mi chiedo se sia davvero possibile essere belle vestite di lividi.
Mi sono truccata, gli occhi cerchiati di nero come se mi avessero spento due sigarette giganti addosso. Le pupille che tremano a due passi dal contesto. Il mondo che ti circonda e ti fa tremare le ginocchia.
Mi sono sporcata le labbra con quella mistura grigio-oro di un rossetto che sa di plastica, e presto lo leverò per la vergogna e per lo schifo di respirare piano dietro la maschera di cipria.
La testa invasa dalle urla di Kurt, mi domando cosa sarebbe se lui fosse ancora vivo.
Penso alla rabbia che provo nei confronti di Andreotti.
Penso che da qualche ora il fegato mi fa male, e stanotte non ho nemmeno riposato quanto basta a mantenersi lucidi per qualche ora pomeridiana.
Al pub ci ritroveremo a recitare poesie d'amore con un occhio puntato sulle stragi politiche che frantumano l'Italia come se fosse fatta di lego.
Poi penso che mi rispondi raramente e collasso sulla coperta, respirando in silenzio.

Al sapore di Ansiolitici.



Tom ha gli occhi grigi ed un'espressione cupa ad arricciargli le labbra.
Modula la voce, fuma sigarette guardandosi le scarpe masticate dalle mille strade che ci separano. Respira al ritmo delle lampadine fulminate quando fuori le falene si spalmano come marmellata sulle panchine, trafitte dall'alta tensione e dal tremolio stinto dei marciapiedi violentati dalle metropolitane. Seduto immancabilmente per terra, a due passi dalle manifestazioni islamiche e dal Duomo, l'attenzione rapita da una vetrina stracolma di libri. Sussurra che merda, sono porcate quelle che pongono all'attenzione dei compratori.L'avvelenata nelle orecchie, che porta sempre bene mandare a fanculo tutto il resto.
Un giorno mi sono sentita quasi avvolgere dalla sua presenza.
Non mi capitava di scrivere di lui da parecchio. Mi si è plastificato addosso, dal lontano 2002. Poi lo schermo del computer mi suggerisce sempre le 22 e 09 e ripenso al 22 settembre in cui lo sognai. Prima di quel terremoto che ci ha fracassato le costole. Prima delle complicazioni e delle fissazioni per cui ti cadono i capelli.
Pensavo che presto mi toccherà tornare a Milano. Dieci giorni e poi di nuovo fare le valigie e lasciarsi indietro i calzini sporchi, gli appunti indecifrabili e i pasti dai prezzi irragionevoli della mensa. A colazione discorsi indecifrabili, il cappuccino del bar dei cinesi e tu che succhi il cucchiaino con la perizia di un investigatore segreto. Questa città sorretta dall'Esselunga, dal perbenismo delle pellicce troppo costose, dai ragazzini dai capelli tinti di nero e dalle suore che spuntano come tumori maligni in ogni dove provocando sconforto negli anfratti più segreti della propria milza o spleen, per essere internazionali e facilmente poetici. I globuli rossi vengono fatti a pezzettini e De Andrè erompe, un orgasmo di parole, i suoni si possono tastare, le unghie graffiano, la malinconia ti cola sulle ginocchia gialla e azzurra come appare nella mente.
Faceva freddo e la solitudine si poteva tagliare con il coltello. Negli infiniti viaggi in treno in cui attraverso l'Italia con una rabbia in corpo crescente di regione in regione. Sei ore per tornare in quella bolgia. Per sfuggire ai contrattempi. Le dilatazioni spaziotemporali fanno meno paura delle tue gambe incrociate.
Intanto ho passato una notte insonne a ripensare che sono finiti questi giorni sdruciti che puzzavano spesso di vomito e fumo, quello che ti fa tossire per sempre, che ti incrosta i polmoni e ti rende la voce degna di urlare Piromani.
Mi sento obbligata ad amarti. Il tuo respiro inesistente mi ticchetta nelle orecchie, rintocchi di tamburo al sapore di ansiolitici.

martedì 5 gennaio 2010

Quel che resta del Long Island.

Dio ora te ne vai.
Con le tue parole incomprensibili.
Mi si blocca la digestione e qualcosa non vuole estinguersi a due passi dalle labbra.
Mi domando se sia possibile impedire al sei gennaio di arrivare.
Invece sono le 3 e praticamente la puttana dal naso affilato già ha masticato questi giorni incredibili tra i suoi canini affilati.
Ti stavo addosso e l'intero bar sapeva di fine.
Ti ho chiesto di tornare, mi hai risposto vagamente.
Scusami se ti cingevo il braccio troppo forte, non sono fatta per il perbenismo.
E come diademi ci incastonavano gli abbracci degli addii, addio per sempre, alla prossima festa, ai prossimi baci che non torneranno mai. Perchè è sbagliato sporcarsi con i reciproci residui organici mentre tutto tace e le luci di Natale ci sguinzagliano addosso la loro opulente superbia.
Come posso scriverti in una pagina di messaggio che potrei vendermi al peggiore bar di Caracas la dignità per rivederti.
Al pub un ritornello da sciacquette e qualche maglia a maniche corte a sventolarci a due passi dal naso. Ti picchiavo forte, mi schiacciavi contro il vetro che si appannava. La mia vecchia fissazione a due passi e si cercano i recapiti degli scomparsi su Raitre tanto per far televisione.
Con l'incoscienza dentro le tasche e i cellulari che poi li smarrisci e le birre che si rigenerano. I pedoni schiacciati da gomme troppo costose per risarcire i danni.
I bidoni di Bologna profumavano di rum e ti ordino da bere stringendoti il braccio con rabbia, mentre tu fingi di non ricordare.
Sappiamo benissimo che i brandelli dei nostri cuori non sono riciclabili.
Non ci resta che ingoiare quel che resta del Long Island e sorriderci a distanza di due marciapiedi.
Perchè dopotutto io sono solo una grossa idiota e tu un aspirante terrorista che si professa anarchico giocando al Nintendo.
Mi si sono chiuse le valvole cardiache al pensiero che domani non saprò chi tormentare.
Torna sabato, fallo per me.

L.




Le piaceva il fatto che avesse sempre le mani sporche di inchiostro.
A volte dava l'impressione di sentirsi alienata dal resto del mondo meno che da lui.
Microorganismi infettivi a sconvolgerle l'algoritmo del miocardio. Le consigliavano di mangiare crackers e bere meno caffè. Poi abiuravano perdendosi in una smorfia interrogativa sulle labbra. Il rossetto che svaniva nell'alcol delle due. Ragionamenti inconcludenti sulle stringhe delle scarpe e siamo tutti poetici come Rimbaud con il brevetto da piromani. Le si sono incrostate le vertebre mentre lo schermo bianco continuava a impallidire quando lui era svanito. Nello scroscio dei pixel. nell'ammazzatoio delle sere crudeli sprovviste di stelle. Si piegava per terra, soffocava, sopprimeva a mezza voce i singhiozzi. Strozzandosi sulla moquette. Andava a riempirsi di alcol e poi a collassare su una terrazza con i pugni stretti. Lui le aveva strappato il cuore. Ma bisognava andare avanti, in un oceano atlantico di ipocrisie, per il bene di tutti.
Il problema erano i prati e i preti che la deridevano.
Lei lo sapeva e per questo si guardava le scarpe congestionate con una scrupolosità che rasentava la paranoia.

Non si sfugge agli anni Dieci.

Mi spaventava il fatto che la tua mano avesse preso posto nella mia. Ci baciavamo con la stessa enfasi della guerra fredda. Orchestrando tutte le precauzioni per assimilarci al pulviscolo, io e te atomi invisibili nella stanza.
Con tutte le complicazioni immaginabili e qualche stella cadente incastrata nella ringhiera del balcone mi premevi le dita nel palmo e non riuscivi a guardarmi. Con i cuori astemi ed ubriachi di un silenzio stantio con cui era difficile comunicare. Avevamo fumato troppo e bevuto ancora di più. Poi non so com'è successo ma mi bruciavano le labbra e siamo dovuti scendere in strada a domandarci che diavolo stava accadendo. Un esercito di bottiglie, plotoni di transenne. Andiamo a comprare un pacchetto di sigarette per smetterla di sentirci così complici. Qualora non l'avessi capito ci siamo misurati la cassa toracica con il compasso, non so come mai con questo strumento, sarà che il brivido dell'alta velocità non è mai stato il nostro forte ed abbiamo affinato la tecnica per impressionarci a basso costo con utensili del Neolitico. Schizzi di lucidità tra una pausa e l'altra. Riprendere fiato con gli occhi abbassati. Bisbigliare un no poco convinto per ricadere perennemente sul sole. Incrostati nella trama inverosimile di questi anni incapaci di chiamarsi tempo. Con il sentore della catastrofe nelle vene e il vino che traballava sulla tavola metidabondo. Quando ci riprenderemo fingeremo che sia stato solo un bizzarro sogno. Tu nasconderai la mano nelle tasche ed io me la ficcherò tra i capelli, come sempre accade senza una particolare ragione. Ma nel frattempo ti dedico i miei anni paranoici e rimasugli di biscotti per i cani. I tuoi capelli mi graffiavano le labbra e tutto era buio, qualche lucetta lampeggiava patetica a due passi da Marte.
Con tutte le peggiori intenzioni che ci agitavano adesso siamo passati ad ignorarci e ad accarezzarci con gli occhi con l'aria inebetita di chi non ha idea di come comportarsi.
I luoghi pubblici sono costellati di cicche di sigarette e di carte oleose e i tuoi sorrisi mi si cicatrizzano addosso senza far poi così male.
O almeno voglio credere che sia così.
Mi si sono sbucciate le ginocchia a furia di guardarti.