martedì 26 aprile 2011



A volte non so bene cosa provo davvero, pertanto cerco di non pensarci.
Ho bisogno di far chiarezza su di te, soffrirei nel farti soffrire.
Eppure temo che non durerà, purtroppo.



*Nel frattempo i miei capelli in teoria dovrebbero essere usciti simili a quelli nella foto. E rossi. Invece non sono niente di tutto questo.

lunedì 25 aprile 2011

Mi innamoravo di tutto.





Mi è capitato di innamorarmi delle parole di sconosciuti, in chat.
Non importava il loro sesso, dopotutto le anime non hanno peli pubici, amavo i cerchi e le mezze lune e gli archi e le chiavi che disegnavano sullo schermo pallido del computer quando a fine giornata ci incontravamo in un non mondo sospeso nei secondi per raccontarci che colore avevano i nostri occhi, quella sera.

Parlavo senza pudore con una ragazza bizzarra che dal lunedì al giovedì amava le donne, fino alla domenica gli uomini, ma tutti i giorni s’innamorava dei particolari, e per suggellare i momenti, per imprimerli davvero nella memoria li fotografava. Non capivi mai bene di cosa si fosse innamorata se guardavi al complesso della foto, dovevi ricercare il punto dell’oggetto che le illuminava i denti candidi, erano cocci di tazze sbadate collise per terra, erano foglie trafitte dalla luce, e la buccia d’arancia frantumata accanto a una tavoletta di cioccolato, era l’odore che potevi percepire anche senza trovarti fisicamente in un bosco era il frastuono delle bocche dalle smorfie camaleontiche, i passi di artisti sciancati che si contendevano il corridoio nelle metropolitane, il tanfo di una puttana usurata dalla notte, e le ciglia gentili della sua ennesima amante. Lei parlava in modo bizzarro, a volte pensavo ci si mettesse d’impegno. Il suo era un ermetismo anticanonico, il suo scopo non era celare un messaggio ma quanto prenderti in giro e parere più artistica. Ma io le volevo bene lo stesso. Si chiamava B, e aveva diciotto anni.

Mi sono innamorata di M. e questo accadde quando avevo già amato le parole di L.. Lei incarnava la poesia e la tragedia. C’erano persone che si spacciavano per tragiche e disdicevoli attorno a noi, ma erano banali imitazioni del reale, come quei vini da due soldi che ti spacciano per ambrosia alle feste di paese e alle rimpatriate festive. M. assomigliava a un gatto, elegante e spietato, se ne stava all’ombra, ti fissava con i suoi occhi scuri mediterranei, occhi ereditati dai secoli trascorsi, pareva forte come un uragano, ma celava all’interno una dolcezza imbarazzante, passavo le notti a trovarle soprannomi amichevoli, a spiegarle i miei dolori adolescenziali, e lei mi spiegava cosa significasse vivere dei problemi reali, e non passeggiare sulle nuvole e provare il piacere voluttuoso di immaginare una caduta nell’abisso. Quando leggevo le sue poesie le ripetevo spesso che avrei voluto pubblicargliele semmai avessi trovato del denaro da spendere, noi ci spacciavamo tutti per scrittori e artisti sfatti, ma ho sempre pensato che l’unica capace di vivere per scrivere potesse essere lei. Aveva qualcosa di Baudelaire, ma la trovavo cocente come Montale, malinconica come nessuno, e incarnava alla perfezione l’idea che ho della Sicilia, la sua terra, e l’avrei immaginata come una giornata d’arsura, di terra rossa, di limoni grossi come cocomeri, di muriccioli arroventati, una di quelle giornate in cui la tua macchina va in panne e tanto che ci sei ti metti a far l’amore ma poi qualcosa va storto e uno dei due amanti cade in acqua e affoga e l’altro lo lascia morire incredulo con in mente il sogno di potersi struggere per sempre, di cambiare casa, cambiare nome, di finire in pianura nella nebbia a tracannare vino e sfondarsi i polmoni di fumo. M. mi faceva pensare a questo.
E infine vi parlerò di lui, L. l’indimenticabile L.

Da bambino m’innamoravo di tutto, potrebbe essere l’inizio di questo paragrafo. Quando iniziai a frequentare il web seriamente cercavo persone con cui parlare per passare del tempo, per sentirmi libera di raccontare senza essere giudicata. Cercai la persona ideale in un mare pieno di squali. Pensavo di aver trovato Nemo, invece finii pescata dai pirati. È riduttivo ricordare L. come la peggiore delusione della mia vita su internet. È riduttivo descriverlo anche come la migliore scoperta della mia vita su internet. Lui, era un lui, è stato semplicemente il mio uno. Gli parlai con imbarazzo, provando quell’empatia che è sciocca da provare nei confronti di una persona di cui non conosci nemmeno i tratti fisici. O la voce. O le abitudini. Gli parlai sviscerandogli tutti i miei sentimenti, senza mai aver il coraggio di dire l’unica cosa che avrei dovuto rendergli nota. Magari non sarebbe passato lasciandomi sul treno in pieno viaggio. Ma lui era fatto per volare, planando nella piana senza mai voltarsi indietro. Ha provato a ricostruire un dialogo dopo essere andato via senza una ragione reale, ma non è stato qualcosa di piacevole. Era come ritrovarsi burattini male oleati e costretti a condividere la stessa misera scatola, condividendo lo stesso ossigeno e sentendolo scarseggiare. Eppure credo di avergli voluto bene davvero. Di aver desiderato incontrarlo e non lasciarlo andare via. Avrei voluto dirgli che stava minando seriamente al mio equilibrio psichico. Che pensavo potesse diventare il mio migliore amico. Che avrei voluto diventare la sua ombra. Il suo sostegno. Avrei dovuto dirgli che quando stava male io stavo peggio. Che quando mi scriveva la giornata trovava il suo senso. Che quando mi ha abbandonato senza spiegazione e i messaggi e le chiacchierate su msn sono terminate mi sono ritrovata orfana a piangere e ubriacarmi su un terrazzo, io e i miei sogni interrotti, gli occhi inondati di lacrime, in ginocchio perché il dolore mi trafiggeva il petto. Avrei dovuto dirgli che la musica che mi proponeva mi piaceva a priori. Che non lo trovavo spaventoso. Che chi lo faceva sentire un idiota era un coglione. Che lei non lo meritava, ma nemmeno la sua ragazza meritava di essere presa in giro. Che avrebbe potuto prendere me in giro, se proprio voleva. Quando smettemmo di parlare passai settimane a parlare con lui, senza ottenere risposta. Gli dedicai tutto il mio dolore, l’orrore che mi aveva lasciato addosso, parlai trai capelli nascondendoci il viso. Bevevo come una folle, non era mai capitato che qualcuno mi abbandonasse così, che sparisse nel mondo senza che io avessi modo di ritrovarlo. Capitò che mi recai nella sua città, passai vicino casa sua. Sfiorando le colonne, guardando il verde della piazza, e le statue e il castello, e il mare di biciclette e di passanti, e le auto, e le luci, e i tavoli su cui svolazzavano delle zanzare stanche. Vidi la libreria di cui mi aveva parlato, e in seguito anche il pub, e la città era desolata e gelida, con la nebbia e le bancarelle storpie, e fissai tutti i visi e magari ebbi anche modo di incontrarlo, ne ero quasi certa, ma chinai il capo, cercando di non pensarci. Avrei dovuto dirgli questo, avrei dovuto dirgli che anche lui mi dicesse qualcosa.
Mi è capitato spesso di innamorarmi delle parole, e infine furono le mie parole a far innamorare qualcuno di me. Dovrei definire P. la migliore chiacchierata su msn della mia vita di internet, ma non sarei sincera. Di lui mi innamorai dopo, quando ebbi modo di conoscerlo di persona. Un amore più razionale e meno viscerale, nato da un’amicizia vera fatta di incontri tra i treni e le regioni, negli intervalli ritagliati dagli esami, nelle gelide serate invernali, nelle campagne estive in cui si andava a vedere le stelle. Mi è capitato di innamorarmi di lui in una stazione, e furono le stazioni ad accompagnarci e per un certo senso ancora ci accompagnano. Quindi quella di P. è un’altra storia, e non merita di essere catalogata in questo post dal sapore (per me) agrodolce, perché questi sono persone e ricordi di un’altra epoca, forse non del tutto conclusa, ma purtroppo passata, che non scorderò mai e che forse, semmai dovessi scrivere qualcosa di corposo in qualche modo entrerà di prepotenza racconto.

M.

sabato 23 aprile 2011

Se.

E se tu tornassi, anche se fossi tu a tornare ti accoglierei a braccia aperte. Senza ascoltare cosa ti ha fatto andar via.
Ti acconcerei i capelli, lisciandoteli, ti farei riposare sul mio grembo.
Dormiresti protetto dagli incubi, in un cielo che nemmeno Dante ha avuto l'onore di esplorare.
Se solo fosse possibile.

Adorata cirrosi epatica.



Oggi ti scrivo per spiegarti quanto siano labili i confini tra amicizia e amore. Il mio amore non è un nubifragio, le mie amicizie risultano tormentate e dolorose. Io ho un’amica che sta male e non sa esprimersi se non facendomi del male. Ho un amore che ama in modo sgarbato e maldestro e io lo amo replicando a mia volta come fossi un fanciullo al suo primo rimpiattino. C’è gente che ha sempre le risposte, io ho solo un mucchio di domande, e oggi è Pasqua e il pub era pieno e si rischiava di annegare tra le bevande e il fumo e i fiori del male che danzavano appassiti sui millemila tavoli popolati da volti camaleontici e interscambiabili, i Nirvana suonavano per me senza che li ascoltassi, io piangevo senza lacrime credendo che un Long Island non mi avrebbe fatto sballare, ma sarà che non c’erano stelle e la notte era buia, ma ho bevuto come un folle dedicando i cicchetti agli amici che sto per perdere, a lui che non sa piangere, a me con il singhiozzo e le ovaie radiopache, sarà che di sabato/domenica tutto è possibile, e scrivo messaggi d’amore e amicizia a te che sei troppo te per accettarli, per smettere i panni dell’orgoglio e aguzzare la vista e vedermi. Non so come andrà a finire, spero di non suicidarmi prima che il 2012 mi spazzi,prima di aver dato l’esame degli esami di medicina, prima che abbia capito perché ho scelto e a cosa vado incontro, prima di aver appurato se credo a Dio o mi rivolgo ad altri pregando, prima di aver provato la vita, quella vera, quella che ti ferisce e ti fa sanguinare e anche se sanguini tu ringrazi e gli baci il capo, anche se sanguini da morire e stai morendo, mentre muori dici grazie con un sorriso e sorridendo pensi a come sarebbe bello se solo si potesse fare il bis.

venerdì 22 aprile 2011

V day.

Forse per renderti felice devo iniziare a ficcarmi le dita in gola e vomitare, almeno sarò come tu mi vuoi, che ne dici? Ma vaffanculo.
Ma che cazzo te ne frega di come sono? posso essere pure la persona più intelligente e buona della terra, ma per te non sarò mai all'altezza finchè sarò così. Non è più un mio problema quello del peso, ora è la tua crociata, ma probabilmente più lotti e meno io combatto, e più lo ripeti e più io penso di aver bisogno di stare lontana da qui e di avere problemi psicologici che tu mi hai causato.
La verità è che perfino per i tuoi genitori l'aspetto fisico conta. Quello è il metro di giudizio, l'unico, con cui valutano il valore della loro prole. Ti costringono a studiare, ad andare bene a scuola, a farti degli amici, ma poi non sei niente per loro se sei GRASSO. Insomma, più uno è grasso meno è attraente, ed è più difficile quindi trovare un compagno. Forse il problema è questo.
Forse il problema per me non è trovare l'amore, quanto di riuscire a non impazzire. Sto lì lì. Ma continuami pure a dire che faccio schifo, come se non lo sapessi già da sola. Mi faccio schifo da due anni ormai. Non ho la volontà di salvarmi. Ma farmi piangere non aiuta.
Comunque oggi credo che passerò la giornata mandandoti affanculo, è lìunica cosa che mi fa stare meglio.
Fanculo tu, F, e P. Tutti affanculo.
Io vi odio.
Odio questo posto e odio voi.
Io odio pure questo grasso.
Odio pensare che si deve vivere, non che si vuole vivere.

giovedì 21 aprile 2011

Volevo restare a casa Olympicus.

Mangio da morire. Fumo a più non posso. Ultimamente ho cominciato ad alzare il gomito anche di pomeriggio. Sono proprio cattiva. Mh, se levate la frase precedente che è solo un po' di sarcasmo, la mia vita va così dal giorno dell'esame. Per festeggiare, per riempire del tempo. Ho letto Ninna Nanna di Palahniuk, e sono al suo quarto libro, diciamo che per una volta non è stato troppo pulp, sembra un incrocio tra Streghe, Death Note e Harry Potter. Comunque scritto bene, e con spunti di riflessione interessanti sulla società, come sempre.
In realtà non avevo voglia di scrivere sul blog, sono stanca e nervosa. Ogni cazzo di festa deve trasformarsi in una guerra tra me e F. per dimostrare chi è il capo. Sinceramente non ho mai aspirato al titolo, ma nemmeno a quello di schiavetto. Come al solito si avvicinano le feste e si replica lo schifo di capodanno.
Porca puttana, permettetemelo.
Credo che passerò le vacanze in casa, studierò perchè mi va così.
Tutto pur di non vedere nessuno.
Volevo restare a casa Olympicus, davvero.
Stavo bene condividendo i respiri tra una puntata di Scrubs ascoltata solo a metà con te.
La luce filtrava oltre le persiane trovandoci impreparati.
Insomma, già.
Almeno così pensavo fino a poche ore fa.
Poi pure P. ha fatto lo stronzo.
Quindi il fine ultimo del post è di poter bestemmiare liberamente.
Ho le palle girate.
Porca puttana.
Asino ciuccio e re.

martedì 19 aprile 2011

Ho tentato fino all'ultimo di non presentarmi all'esame.
La notte passata insonne a ripetere le arterie. E il cranio. E il sistema di conduzione del cuore. E il canale inguinale, ebbene sì, abbiamo un canale inguinale.
Anche dopo aver alzato la mano all'appello pre-esame, ero decisa a scappare.
Quando è entrato il professore io ho cominciato a piangere, a implorare P e F che non facessero gli stronzi e mi lasciassero correre a piangere fuori. Poi il mio cognome ha rimbombato nella stanza, mi ha chiamato il professore, io mi sono alzata sperando di non piangere.
In venti minuti, titubante per l'ansia e l'angoscia, ho risposto praticamente a tutto, devo ammettere di aver avuto culo perchè la vascolarizzazione non mi è stata chiesta, io detesto le arterie e soprattutto non conoscevo tutte le anastomosi. Ma è solo anatomia 1, avrò di tempo per impararle. Alla fine ho passato tutta la giornata di ieri guardando il libretto chiedendomi se fosse vero, l'esame che mi bloccava psicologicamente da mesi ecco che era già nel passato. Assurdo.
Ed è stata la prima botta di culo dell'università, in quanto a domande, le sapevo tutte in modo perfetto :D
Insomma, rimpiango quasi che fosse solo una idoneità perchè a detta di P sarebbe stato un voto alto quello che avrei preso, lui esagera forse con il 30, ma anche io penso di essere andata bene :D
Ora potrò continuare con altre materie, finalmente, e l'anatomia totale sarà qualcosa che spero di riservare per dicembre 2011 o al massimo gennaio.

venerdì 15 aprile 2011

Love will tear us apart.

Sono completamente fuori di me. Per motivi accademici.
Per il resto ieri avrei voluto restare, dopo tanto aver desiderato la partenza.
Avrei desiderato chiudere le finestre, e le porte e parlarti per tutta la notte, picchiarti se ne avessi ancora avuto voglia. E dopo scappo in stazione e mi siedo accaldata al finestrino e mi chiedi in quale carrozza sono seduta, e io mi affaccio e mi chiedo cosa tu faccia qui se ci siamo detti arrivederci solo da dieci minuti. E mi lanci un pacchetto incartato e mi mandi un bacio e poi sparisci di nuovo e io resto stordita e imbarazzata a fingere che la passeggera che condivide con me l'abitacolo non abbia visto, e non sia curiosa di scoprire cosa c'è impacchettato. Ma io già so cosa hai scelto, ti ho assillato per giorni e quindi ti sorrido e sento di aver bisogno di piangere, e di dirti che da quando ci sei non mi faccio quasi mai problemi su come sono, anche se dovrei proprio, e se me li faccio è perché sento che è giusto che tu abbia vergogna di come sono, sono un disastro insomma, ma forse sei anche sincero quando mi dici che è tutto nella mia testa, è plausibile che per qualche motivo assurdo sia tu quello a provare vergogna per come sei, e sinceramente vorrei mostrarti che non c'è nessuno che sia meglio di te, e di noi quando stiamo insieme, ma forse queste cose sono troppo adolescenziali e romantiche da dire, non sono da me, io so trovare il lato tragico e funebre di tutto, cerco di contenere la Charlotte che vive da qualche parte anche dentro me con dosi massicce di Miranda. A volte non riesco, anzi mi correggo, quasi sempre non riesco.
Comunque quando non ci sei sento un freddo che mi prende e mi addormenta gli arti e una stanchezza che si diffonde nel mio animo, è come se andassi in letargo, è una brutta sensazione. In questo periodo della mia vita ci sei solo tu e a te mi aggrappo con tutta me stessa, e ti chiedo di non lasciarmi andare, non ho lo straccio di un appiglio. Insomma, è qualcosa di spaventoso, anche di triste non avere più punti di riferimento, ma soprattutto è spaventoso e bellissimo dipendere da te.

giovedì 14 aprile 2011

Eppure un sorriso.




Quando la guidai, o fui forse guidato
a contarle i capelli con le mani sudate .

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo .

Un Malato di Cuore , Fabrizio De Andrè .

Michelle, ma belle.



La mia amica O. mi ha regalato un carrillon che suona Michelle, dei Beatles. Con la scatoletta laccata su cui sono disegnate sei Tour Eiffeil, di un beige che rasenta il color crema appena accennato, e le torri grigiastre. Alcune di queste torri non hanno un apice, sono tristi e monche perchè sul coperchio è stato applicato l'inutile denominazione Paris. Quando giri la manovella parte la canzone e tu puoi sentire la parte che fa " I love you I love you I love youu" , e ti viene voglia di cantare, ma non sai nemmeno bene le parole, soprattutto quando attaccano in francese, poi ci rinunci. Si muore sempre un po' ascoltando una canzone che ti strappa il cuore.
Comunque ci passo il tempo a far suonare quel ritornello, sto già rompendo l'ingranaggio, perché qualche molla deve essere saltata e le note fuoriescono poco nitide e sicure.
Almeno il carrillon continua a dirmi I love you riempiendo il vuoto d'affetto e autostima che sento ultimamente.
Anche se non ci riesce troppo bene.

domenica 10 aprile 2011

Arancia Meccanica

E' meglio un mondo malvagio che un mondo senza scelta dicono gli scrittori.
Forse sono l'unica a non simpatizzare troppo per il libero arbitrio.
Preferirei il determinismo alla contingenza. Almeno non ci sono se e ma, niente rimorsi, zero occasioni perdute. Niente illusioni.
Ma io chi sono per parlare di queste cose?
Nessuno, e forse nell'essere nessuno mi son contraddetta, perchè in un mondo contingente ho scelto di essere tale.
Bah.

mercoledì 6 aprile 2011

Kill Bill // Lie to me.

Ormai l'unico sport che pratico a parte l'ingozzarmi oltre ogni misura è uccidere le zanzare. Insomma, tu la notte non riesci a dormire perchè ti ronzano nell'orecchio a mo' di sfida, tanto per ricordarti che ti stanno succhiando il sangue e stanno ingrassando a tue spese, e poi il giorno ti ritrovi a vedere un grande punto nero che si affatica a mezz'aria. E' una zanzara obesa come non le hai mai viste. Non riesce a muoversi bene, le piccole ali quasi non sostengono la sua mole, e si attarda a spostarsi mentre tu quatto quatto ti avvicini con ciabatte/quaderni/ammazzamosche per vendicarti dei pizzichi e del fastidio. E lei ecco che scappa, appena in tempo, e non demordi. Mira sbagliata, la perdi di vista, ti maledici, vorresti proprio farla fuori ma è così piccola pensi e invece la sua ingordigia sfrenata la tradisce: spicca sulla parete rosa tonda tonda com'è. Ed allora ti avvicini di nuovo, trattieni il respiro e : SPLAAAAAAAAAAAAT. Frullato di zanzara e sangue ovunque, un nuovo danno da ripagare al padrone di casa. Esaltata come non mai dalla riuscita vendetta insulti l'insetto morto, lo guardi come se contemplassi la Pietà di Michelangelo, subito dopo pensi che quel quaderno non potrai più portarlo in giro, poi ritorna l'esaltazione e pensi che quella parete macchiata, quel quaderno schifoso saranno un monito per tutte le altre stupide zanzare che oseranno sfiorarti.


A parte questo, ieri mi è capitato di non riuscire a far niente per via del troppo sonno. Sono uscita giusto per fare quattro passi e mi chiamano gridando come galline nei pressi della stazione: oh cazzo penso, eccole, le mie ex compagne di classe. Mi assalgono varie sensazioni: stupore, orrore al pensiero di come sei conciata mentre loro come al solito sono perfette, malinconia dei bei tempi andati, poi di nuovo schifo. Non sappiamo che dirci, sorridiamo per default, ci scambiamo due parole in croce. E poi loro cosa fanno? Mi squadrano. Sai quell'occhiatina per valutare se hai messo su chili/come sei vestita/se hai i capelli a posto. Ovviamente potevo leggere sul loro viso d'esser stata bocciata all'esame. E poi quell'altra battuta, quella più bastarda. "Eh, da Milano ti ritrovi qua!"
Ma cazzo, avrei voluto rispondere, che te ne frega di cosa scelgo? Di certo se ho cambiato città avrò avuto le mie ragioni. Economiche, personali, comunque razionali. Era per il bene di tutti e non me ne pento ( a parte il fatto che la lontananza mi impedisce di stare con Federico che io adoro e adorerò sempre, almeno spero ) . Non ho risposto, un po' perchè presa alla sprovvista, un po' per far terminare più in fretta possibile l'incontro, me ne sono andata via subito dopo e ci ho pensato a lungo. Tu guarda la falsità delle persone. Ma perchè mi hanno chiamato? Se avessero voluto mantenere i contatti avrebbero potuto cercarmi un anno e mezzo fa, dopo l'esame, o quando era appena iniziata l'università. Non l'hanno mai fatto perchè a loro non interessava nulla di me, e io che ho sempre pensato che la classe delle superiori fosse la migliore di sempre, amavo davvero i miei compagni e vedi come mi hanno ripagato alle prove d'esame.
Da allora sono diventata abbastanza diversa, diciamo più menefreghista e pronta al peggio. Ormai non mi aspetto niente dall'amicizia, soprattutto quando è temporanea. Che poi la riconferma di dover adottare la tecnica del menefreghismo l'ho avuta pure l'anno scorso con gli ex compagni del S. R., l'unico ancora a me vicino è Fede, fortuna che non tutti sono di passaggio, almeno spero.

martedì 5 aprile 2011

Se amassi qualcuno di certo non lo paragonerei a un cancro.

Volevo solo puntualizzare che "se avessi un tumore, lo chiamerei Marla" non è una frase su cui costruire languidi sogni d'amore e morte che tanto piacciono a tutti gli illusi di tutte le Vie del Campo di questo mondo. In quel momento il protagonista di Fight Club non è ancora innamorato di Marla, non sospetta nemmeno minimamente di poterla amare,o almeno non con tanto strazio da definirla la sua malattia mortale. E' puro cinismo, di quello che ti fa leccare i baffi, e sinceramente la frase assume un certo umorismo calcata in questa maniera (se non siete ancora soddisfatti vi invito a guardare anche il film, ascoltate con quale tono viene pronunciata la battuta che ho ritrovato poi nelle didascalie esplicative alle foto indierockposerintellettualoididepressilucidellacentralelettrificati di tutta Italia. Non ho ricercato in altri paesi, avevo di meglio da fare.
Poi pensatela come vi pare, tagliatevi le vene o venite nelle mutande, siate stucchevoli e tragici da straziare il cuore. Sembra assurdo ma cuore è il termine anatomico per definire l'intero organo, miocardio non è propriamente la variazione elegante del termine, torniamo alle cose semplici una volta, io con queste boiate colossali ho chiuso, a dire il vero con Marla non avevo mai aperto, comunque sia dovreste farlo anche voi.
E se proprio volete tagliarvi le vene pensando a qualcosa di tanto lirico da far piangere ascoltate qualcosa di De Andrè, il suo lato meno noto, non soffermatevi su Bocca di Rosa e il pescatore.
Io stanotte nemmeno ho dormito.
M.

lunedì 4 aprile 2011

La grazia o il tedio morte di vivere in provincia.


Ma c'è una vita sola, non ne viviamo niente in tributi alla gente, o al sogno.


Canzone quasi d'Amore, F. Guccini.

domenica 3 aprile 2011

Subliminal Mind Fuck Italia.

D'accordo, ho provato ad aprire un account su Tumblr, ma non ci sono proprio riuscita. Non mi sono sprecata nemmeno troppo, e devo averci già provato visto che inserita la mia mail e la password è uscito il profilo lesmetamorphosesduvampire, e lemuseinquietanti, insomma, nickname che mi hanno accompagnato per un periodo tra netlog e facebook.
Ma chissenefrega, continuerò a scrivere qua, tanto è chiaro che è solo l'ennesima fissa del momento quella che nutro per il blog, tra qualche giorno smetterò di scrivere e poi tornerò strisciando non appena sarò nuovamente carica di nevrosi.
Detto questo che bello il sabato passato a nascondersi. Sono come una piccola larva, mi rotolo nel mio niente, cancello i post da facebook per evitare che si capisca se sono in un posto o nell'altro e molto spesso vorrei essere in nessun posto.
Studio con scarsi successi, preferisco fissare lo schermo con aria meditabonda, non ho proprio niente da fare, a parte farmi venire le crisi di panico e l'ansia all'idea di quello che sta per accadere.
Mi sono resa conto che la televisione sceglie con cura come giustapporre due servizi, è la goccia che scava la roccia, indirettamente riescono a far filtrare un messaggio che tu cogli e assorbi indirettamente, senza rendertene conto.
La televisione è il demonio.
Ma io la guardo perchè riesco ancora a distinguere tra ciò che vogliono farmi pensare loro e ciò che io so di star pensando.
Anche perchè lo streaming posso guardarlo un'ora si e una no, e la chiavetta non funziona benissimo, e adesso è tardi e adesso ritorno al lavoro (cit.)
M.

sabato 2 aprile 2011

In metropolitana si sentiva suonare.


Mi ricordo che in metropolitana si sentiva suonare. I passanti blateravano, si acconciavano i capelli, tiravano su con il naso, si aggiustavano i pantaloni, passandosi un dito sopra le labbra, un fazzoletto contro il sudore, assestandosi il pacco, sorridevano al loro bambino, soffrivano il caldo, si appiccicavano ai pali, alcuni si baciavano, altri discutevano di quante puttane ci fossero in una città sola, la città che sale e che va troppo in fretta perché tu possa stare al passo, alcuni ascoltavano musica, c’erano varie scuole di pensiero su come aspettare la fermata successiva senza dover necessariamente annullarsi e divenire un viso grigiastro nel marasma dell’anonimato più cupo. E dopo tipi strani di ogni colore che tu gli scrutavi e pensavi agli attacchi terroristici e dopo pensavi a quanto tu potessi passare per razzista pensando a una cosa simile, e poi ti sentivi in colpa e iniziavi a riflettere su quanti maniaci abitassero in una città sola, e dopo vedevi salire nuovi gruppi, suonatori di organetti, studenti della tua università, abbassavi il capo per non doverci parlare né salutare, lasciavi indugiare lo sguardo sulle scarpe, quando si è in imbarazzo la cosa migliore da fare è passare il tempo fissando le scarpe, e dopo ti perdevi alla ricerca del romanzo da comprare, in un vagone c’è necessariamente qualcuno che legge, e chi sonnecchia, e qualcuno prova ad appoggiarti il cazzo al culo e a spingerti, e tu fai finta di non accorgertene mentre senti salire lo schifo e il terrore che si incolli proprio addosso a te, e qualche volta è successo, e ti dici che deve avere dei gusti pessimi per riuscire a farselo venire duro con un mostro simile. E dopo entrano per l’elemosina, i bambini e gli storpi, gli storpi spesso sono sani e si spacciano per malmessi così ti fanno pena, i bambini invece non fingono, loro sono stati istruiti a comportarsi così, e quegli occhi profondi e senza speranza sono proprio i loro, e tu non puoi sfuggire a quello sguardo senza sentirti colpevole,un aguzzino. In realtà quando salgono ti arrabbi e vorresti prendere a calci i loro genitori, questo è sfruttamento, urleresti se avessi un briciolo di coraggio, ma sei codarda e così ignori semplicemente il loro sguardo, la loro musica da quattro soldi, la loro presenza, il loro occupare uno spazio fisico. In metropolitana si sentiva suonare, e quando non capitava allora potevi ascoltare un po’ di musica, a rischio di far incazzare i tuoi vicini, qualche volta scoppiano le risse quando la metropolitana è troppo piena e non si respira e il tuo corpo smarrisce i contorni e ti ritrovi con la mano sulla schiena di qualcuno che ha le gambe incollate a quelle di un altro ancora. A volte avrei voluto essere morta piuttosto che prenderla, ora ci ripenso con un certo gusto, è forse il posto che più mi è rimasto impresso della mia permanenza milanese, anche perché passavo almeno un’ora al giorno in quella bolgia, in un modo o nell’altro avevo imparato ad amarla. C’erano momenti unici là dentro che porterò sempre con me, Alzheimer permettendo. Il primo è quando andammo a vedere Alice In Wonderland, eravamo almeno in dieci, e ci mettemmo in cerchio in un vagone qualunque a fare un gioco in cui bisognava resistere senza ondeggiare, senza cedere ai sobbalzi che la differenza di velocità provocava, c’era Federico e non eravamo ancora così amici, o forse lo eravamo diventati da poco, e ricordo che rideva tanto, ed io ero felice che ridesse e che forse, quella sua felicità dipendeva anche da me. E dopo il ricordo migliore è quello in cui io e P. stavamo seduti ad ascoltare l’ipod ed è uscito Inverno, la canzone di De Andrè, ed io chissà perché mi persi completamente nel brano e nella drammaticità della musica, stavo per scoppiare a piangere commossa, e lui restava in silenzio e fissava in basso, ogni tanto mi spiava, ma questo lo scoprii solo dopo, quando ebbe il coraggio di spiegarmi che in quel momento ci eravamo commossi entrambi, ma soprattutto lui, perché aveva sentito la mia commozione, era uno di quei momenti assurdi in cui si prova la stessa cosa e non si sa dare un peso ad un simile avvenimento, sono quei momenti confusi in cui ci si sente nuovi e diversi, e non si gestiscono bene le emozioni e non si riesce a comprendere come sarà il domani, o se ci sia un futuro. Sono quei momenti in cui tutto sembra immobile e invariato ma in cui si percepisce un crack, una minuscola crepa, forse uno spiraglio e spiando imbarazzati dal buco ci si rende conto che tutto è cambiato e irriconoscibile, è una velocità superiore a quella del nostro occhio, una luce esplosiva a cui la pupilla deve abituarsi. Solo perché non siamo riusciti a vedere non vuol dire che non ci sia niente. Sono quei momenti in cui si è felici, completamente persi nella gioia e di cui ci accorgiamo sempre in seguito, quando la sensazione è già dissolta e le cose sono cambiate irreversibilmente, che io ricorderò per sempre, per cui io ringrazierò costantemente, per cui posso giustificare e comprendere i miei sbagli e i miei fallimenti e ripensare al passato guardandolo da una nuova ottica, in cui mi colpevolizzo di meno e mi amo di più. E con questo concludo, perché per oggi ho scritto troppo.
M.

Corticopontocerebellobulbopontinorubrospinale. (?)


Mi domando se tutto questo mio lavorare di fantasia non sia frutto di una qualche malattia mentale. Non ho ancora le armi adatte per diagnosticarmi qualcosa, ma sto diventando ipocondriaca. E’ un equilibrio precario, un rapporto morboso e fatto di screzi quello tra corpo e mente. Sono ancora sconvolta dal pensiero che quando la mente si ammala, il corpo la segue a ruota. Una malattia mentale ti trasfigura, non c’è più niente che funzioni in te, anche se magari il decorso è più lento e permette ai tuoi cari e a te stessa di accettare il distacco dalla vita, perché la paura di morire si risolve tutta nell’accettare il distacco e nel pensiero che il mondo andrà comunque avanti senza di te, e che tu (forse) andrai avanti senza di lui, in un modo o nell’altro. I ragionamenti sulla morte farebbero rabbrividire chiunque, a volte provocano un dolore fisico (altra manifestazione della supremazia della mente sul corpo. Ma se diamo all’idea di mente non un significato metafisico, ma fisico in quanto la mente non è che un’attività intellettiva del cervello, componente fisico del corpo al quale è deputata la parte di organizzatore-capo, il ragionamento viene ribaltato perché la percezione delle cose e la formazione di un’idea riguardo al mondo o a noi stessi viene dalla sensibilità, la quale è frutto dell’interazione di recettori di varia natura con il mondo esterno, lo stimolo percepito viene ricondotto al cervello, il quale dovrebbe interpretarli e manifestare una risposta che si traduce in stimolazione motoria, di parola/pensiero/azione/movimento. Quindi è il corpo a non funzionare correttamente, a percepire in modo distorto oppure a non possedere una “macchina” capace di catalogare e risolvere correttamente i dati che le vengono forniti. Ma queste sono divagazioni che chiunque che voglia farsi passare per pseudointellettuale può fare, e che chiunque voglia farsi passare per supermegaintellettuale può facilmente confutare, io sinceramente volevo provare il gusto di un ragionamento dialettico tra me e me.
Comunque tornando al discorso di partenza, le malattie mentali mi terrorizzano. Non sarebbe divertente perdere la memoria, ridursi allo stato di larva, non riconoscere più le persone amate, terminare la mia vita senza sapere d’esser stata un essere umano che qualcuno ha fatto soffrire e che qualcuno ha amato.
Per quanto mi riguarda sono stata sull’orlo di perdere me stessa, una volta, e non è stato divertente come vogliono farlo sembrare. Recentemente ho guardato il Cigno Nero, e quello che provavo guardando Nina sporcarsi di azione in azione, mi disgustava piuttosto che affascinarmi. Certo, forse devo ribadirlo, c’è qualcosa di voluttuoso nel vedere un’anima candida macchiarsi e finire vittima del peccato, ma a pensarci bene uno dovrebbe rifuggire da questa idea: mi domando perché non siano narrate mai storie di persone che restano buone o che da malvagie riescono a ripulirsi da ogni lordura raggiungendo la pace dei sensi.
Queste vicende nessuno le amerebbe, basti pensare alla noia di leggere i personaggi di Manzoni come quelli positivi di Hugo che non appena sono felici o compiono azioni positive scadono nel ridicolo. Pertanto io mi chiedo: non è che siamo noi ad essere ridicoli? Predichiamo tanto di voler la pace, il bene, e poi non appena scorgiamo uno spiraglio nella muraglia che stiamo assediando scappiamo a gambe levate e abbandoniamo il proposito per gettarci a capofitto tra le braccia del vizio e dell’ipocrisia. Probabilmente non c’è uomo talmente buono da poter narrare un simile lieto fine senza stereotiparlo. Probabilmente non c’è uomo talmente buono da poter leggere e gioire del ritrovato lieto fine.
Su questo post, come al solito a briglia sciolta, è giunto il momento di porre un punto di fine.
Io ho da studiare e nel frattempo ho anche trovato una miniserie da vedere in streaming con Kate Winslet come protagonista. P.S. : ma vi rendete conto che la donna della pubblicità di Lancome è proprio la Winslet? Che fine ha fatto il suo nasino nella pubblicità? Sembrano due donne totalmente diverse, Photoshop è proprio un miracolo per Hollywood. Eggià, sono i rimasugli dei soliti programmi spazzatura che seguo in televisione, non chiedetemi perché ma aiutano a non pensare così quando posso prendo una pausa dal cervello seguendoli. Abbiate un buon sabato, io me ne starò a studiare e a spammare su fb.
M.
Eccovi il link della miniserie che sto guardando al momento XD
http://italia-film.com/telefilm/14569-mildred-pierce-subita-serie-tv-streaming.html