lunedì 25 aprile 2011

Mi innamoravo di tutto.





Mi è capitato di innamorarmi delle parole di sconosciuti, in chat.
Non importava il loro sesso, dopotutto le anime non hanno peli pubici, amavo i cerchi e le mezze lune e gli archi e le chiavi che disegnavano sullo schermo pallido del computer quando a fine giornata ci incontravamo in un non mondo sospeso nei secondi per raccontarci che colore avevano i nostri occhi, quella sera.

Parlavo senza pudore con una ragazza bizzarra che dal lunedì al giovedì amava le donne, fino alla domenica gli uomini, ma tutti i giorni s’innamorava dei particolari, e per suggellare i momenti, per imprimerli davvero nella memoria li fotografava. Non capivi mai bene di cosa si fosse innamorata se guardavi al complesso della foto, dovevi ricercare il punto dell’oggetto che le illuminava i denti candidi, erano cocci di tazze sbadate collise per terra, erano foglie trafitte dalla luce, e la buccia d’arancia frantumata accanto a una tavoletta di cioccolato, era l’odore che potevi percepire anche senza trovarti fisicamente in un bosco era il frastuono delle bocche dalle smorfie camaleontiche, i passi di artisti sciancati che si contendevano il corridoio nelle metropolitane, il tanfo di una puttana usurata dalla notte, e le ciglia gentili della sua ennesima amante. Lei parlava in modo bizzarro, a volte pensavo ci si mettesse d’impegno. Il suo era un ermetismo anticanonico, il suo scopo non era celare un messaggio ma quanto prenderti in giro e parere più artistica. Ma io le volevo bene lo stesso. Si chiamava B, e aveva diciotto anni.

Mi sono innamorata di M. e questo accadde quando avevo già amato le parole di L.. Lei incarnava la poesia e la tragedia. C’erano persone che si spacciavano per tragiche e disdicevoli attorno a noi, ma erano banali imitazioni del reale, come quei vini da due soldi che ti spacciano per ambrosia alle feste di paese e alle rimpatriate festive. M. assomigliava a un gatto, elegante e spietato, se ne stava all’ombra, ti fissava con i suoi occhi scuri mediterranei, occhi ereditati dai secoli trascorsi, pareva forte come un uragano, ma celava all’interno una dolcezza imbarazzante, passavo le notti a trovarle soprannomi amichevoli, a spiegarle i miei dolori adolescenziali, e lei mi spiegava cosa significasse vivere dei problemi reali, e non passeggiare sulle nuvole e provare il piacere voluttuoso di immaginare una caduta nell’abisso. Quando leggevo le sue poesie le ripetevo spesso che avrei voluto pubblicargliele semmai avessi trovato del denaro da spendere, noi ci spacciavamo tutti per scrittori e artisti sfatti, ma ho sempre pensato che l’unica capace di vivere per scrivere potesse essere lei. Aveva qualcosa di Baudelaire, ma la trovavo cocente come Montale, malinconica come nessuno, e incarnava alla perfezione l’idea che ho della Sicilia, la sua terra, e l’avrei immaginata come una giornata d’arsura, di terra rossa, di limoni grossi come cocomeri, di muriccioli arroventati, una di quelle giornate in cui la tua macchina va in panne e tanto che ci sei ti metti a far l’amore ma poi qualcosa va storto e uno dei due amanti cade in acqua e affoga e l’altro lo lascia morire incredulo con in mente il sogno di potersi struggere per sempre, di cambiare casa, cambiare nome, di finire in pianura nella nebbia a tracannare vino e sfondarsi i polmoni di fumo. M. mi faceva pensare a questo.
E infine vi parlerò di lui, L. l’indimenticabile L.

Da bambino m’innamoravo di tutto, potrebbe essere l’inizio di questo paragrafo. Quando iniziai a frequentare il web seriamente cercavo persone con cui parlare per passare del tempo, per sentirmi libera di raccontare senza essere giudicata. Cercai la persona ideale in un mare pieno di squali. Pensavo di aver trovato Nemo, invece finii pescata dai pirati. È riduttivo ricordare L. come la peggiore delusione della mia vita su internet. È riduttivo descriverlo anche come la migliore scoperta della mia vita su internet. Lui, era un lui, è stato semplicemente il mio uno. Gli parlai con imbarazzo, provando quell’empatia che è sciocca da provare nei confronti di una persona di cui non conosci nemmeno i tratti fisici. O la voce. O le abitudini. Gli parlai sviscerandogli tutti i miei sentimenti, senza mai aver il coraggio di dire l’unica cosa che avrei dovuto rendergli nota. Magari non sarebbe passato lasciandomi sul treno in pieno viaggio. Ma lui era fatto per volare, planando nella piana senza mai voltarsi indietro. Ha provato a ricostruire un dialogo dopo essere andato via senza una ragione reale, ma non è stato qualcosa di piacevole. Era come ritrovarsi burattini male oleati e costretti a condividere la stessa misera scatola, condividendo lo stesso ossigeno e sentendolo scarseggiare. Eppure credo di avergli voluto bene davvero. Di aver desiderato incontrarlo e non lasciarlo andare via. Avrei voluto dirgli che stava minando seriamente al mio equilibrio psichico. Che pensavo potesse diventare il mio migliore amico. Che avrei voluto diventare la sua ombra. Il suo sostegno. Avrei dovuto dirgli che quando stava male io stavo peggio. Che quando mi scriveva la giornata trovava il suo senso. Che quando mi ha abbandonato senza spiegazione e i messaggi e le chiacchierate su msn sono terminate mi sono ritrovata orfana a piangere e ubriacarmi su un terrazzo, io e i miei sogni interrotti, gli occhi inondati di lacrime, in ginocchio perché il dolore mi trafiggeva il petto. Avrei dovuto dirgli che la musica che mi proponeva mi piaceva a priori. Che non lo trovavo spaventoso. Che chi lo faceva sentire un idiota era un coglione. Che lei non lo meritava, ma nemmeno la sua ragazza meritava di essere presa in giro. Che avrebbe potuto prendere me in giro, se proprio voleva. Quando smettemmo di parlare passai settimane a parlare con lui, senza ottenere risposta. Gli dedicai tutto il mio dolore, l’orrore che mi aveva lasciato addosso, parlai trai capelli nascondendoci il viso. Bevevo come una folle, non era mai capitato che qualcuno mi abbandonasse così, che sparisse nel mondo senza che io avessi modo di ritrovarlo. Capitò che mi recai nella sua città, passai vicino casa sua. Sfiorando le colonne, guardando il verde della piazza, e le statue e il castello, e il mare di biciclette e di passanti, e le auto, e le luci, e i tavoli su cui svolazzavano delle zanzare stanche. Vidi la libreria di cui mi aveva parlato, e in seguito anche il pub, e la città era desolata e gelida, con la nebbia e le bancarelle storpie, e fissai tutti i visi e magari ebbi anche modo di incontrarlo, ne ero quasi certa, ma chinai il capo, cercando di non pensarci. Avrei dovuto dirgli questo, avrei dovuto dirgli che anche lui mi dicesse qualcosa.
Mi è capitato spesso di innamorarmi delle parole, e infine furono le mie parole a far innamorare qualcuno di me. Dovrei definire P. la migliore chiacchierata su msn della mia vita di internet, ma non sarei sincera. Di lui mi innamorai dopo, quando ebbi modo di conoscerlo di persona. Un amore più razionale e meno viscerale, nato da un’amicizia vera fatta di incontri tra i treni e le regioni, negli intervalli ritagliati dagli esami, nelle gelide serate invernali, nelle campagne estive in cui si andava a vedere le stelle. Mi è capitato di innamorarmi di lui in una stazione, e furono le stazioni ad accompagnarci e per un certo senso ancora ci accompagnano. Quindi quella di P. è un’altra storia, e non merita di essere catalogata in questo post dal sapore (per me) agrodolce, perché questi sono persone e ricordi di un’altra epoca, forse non del tutto conclusa, ma purtroppo passata, che non scorderò mai e che forse, semmai dovessi scrivere qualcosa di corposo in qualche modo entrerà di prepotenza racconto.

M.

1 commento:

  1. Leggo sempre i tuoi post, ma devo dire che questo mi è piaciuto particolarmente. E' bello il modo in cui hai descritto queste persone e le tue emozioni :)

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