venerdì 11 giugno 2010

C 1








Si pettinavano le vene scheggiandosi con le punte dei denti.
Il sangue sembrava raggrumarsi nell'esofago ed era complicata la peristalsi.
Le chiedeva, steso sulla moquette, da quanto tempo lo stesse osservando.
Lilith si raggomitolava in un angolo, sprofondando gli occhi da qualche parte sotto i capelli, perdendosi tra le braccia e il petto. Non rispose, decise di diventare parte del muro, del copriletto, del lilla indistinto di quella stanza di merda.
Non avrebbe singhiozzato quella volta. Si malediceva di essere così succube.
Ora che si era giocata l'ultimo brandello di dignità non le restava altro che assistere l'oggetto delle sue disgrazie, il suo vaso di Pandora e attendere la caduta nel baratro. Il nero più cupo che le colava nell'aorta, e piano lei moriva in silenzio.
Le chiese di chiudere le tapparelle, sigillare la porta, non doveva entrare la notte in quella stanza.
Come se non fosse già notte da tempo.
Una notte perenne che seguitava a metastatizzare loro addosso.

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