domenica 6 giugno 2010

Definire i contorni .


Decidemmo di non parlare. Di restare a fissare le stelle. Si crepava la volta celeste. Minuscole scaglie del nero più cupo. I petali dei tumori che ti metastatizzano addosso. Come gli abiti delle signore di classe.
A rincorrere le maschere e i dieci comandamenti e i dieci telecomandi si rischiava di ferirsi. Di compatirsi. E sgranocchiare dei cereali al cioccolato non è necessariamente una priorità. Ti hanno raccontato delle leggende metropolitane, e tornata a casa ti sei resa conto che parlavano della tua vita.
Come quando ti fissavi i polsi e ti domandavi quale misteriosa forza ti impedisse di tagliarli. Colorare con i pastelli le vetrate delle cattedrali. Quell'odore di crisantemi. Le belle vestali che vanno a letto con i principi dei cieli. Le battaglie epiche al telefono per dirti ti amo senza strafare. Abbiamo passato parecchie ore domandandoci cosa ci permettesse di riconoscerci nonostante gli innumerevoli viaggi sui binari. Trovi metafisico passeggiare per l'Italia, infischiandosene dell'Eurostar, dei ritardi e dei biglietti troppo costosi. La tua voce dissonante e quell'accento appariscente che ti fa ridere a cinquecento chilometri di distanza.
Poi viene sera e lo stucco scivola giù dalle pareti e dalle tue guance.
Non rimane che rossetto sfatto a definire i contorni.
Un brindisi ai nostri anni amari. Che passeranno.
E allora ci sarà sul serio da preoccuparsi.

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