sabato 12 giugno 2010

C 5

L’universo attorno a noi mi fa sentire così piccola.
Luxor la osservava sorseggiando un po’ di vodka, le brillavano gli occhi, aveva le guance colorate di rosso.
Le disse che era l’universo che albergava negli uomini a farlo sentire smarrito e confuso.
Le aveva parlato di una ragazza che amava a tempo perso. Era come vivere la ballata dell’Amore cieco e della Vanità, aveva asserito con aria seria. La gelosia aveva iniziato a tormentarla, l’aveva schiacciata fino a soffocarla, doveva recidersi la carotide per non pensarci, ma quel bruciore nello stomaco poteva benissimo collegarlo allo stress, non era perché desiderava che Luxor non vedesse il bello in nient’altro che l’inanimato, o l’inarrivabile, come la musica, l’arte, il fascino della bellezza come essere assente e ineffabile. Le belle ragazze che lo ferivano e gli davano il tormento non potevano intromettersi nell’immagine perfetta che aveva di lui. Anche se Luxor non faceva altro che parlare dell’altra. Non era una persona che si potesse nominare, bisognava attestarne l’esistenza in silenzio, darle un nome, un volto, era malefico, un peccato mortale, o comunque gli riusciva difficile riversare anche quel brandello di umanità in Lilith senza scoppiare in pianto.
Non che l’amasse, almeno non credeva fosse quello l’amore. Però c’era qualcosa di sbagliato in lei che lo attirava. Forse la sua incapacità di sceglierlo. Forse l’averlo sedotto e abbandonato. Le raccontò di quando gli aveva mostrato le gambe, lei si vergognava delle sue ginocchia, della bellezza imperfetta di quegli arti che ai suoi occhi sembravano divini, superiori a quelli comuni.
Lilith annuiva, lo stomaco pareva scoppiarle, ma annuiva. Le disse di quando lo gettò sul letto e si confusero tra le lenzuola senza dire niente, non era necessario parlare. Poi lei tornò dal suo ragazzo, un universitario con l’alitosi, e gli disse che era stato solo un errore da dimenticare.
Io mi ci ero affezionato, biascicò lui guardando il soffitto.
Io quando sono giù mi imbottisco di caramelle. Sempre meglio che imbottirsi di farmaci.
Io di vodka, quando bevo vodka o scrivo c’è sempre qualcosa che non va. Lilith, dovresti perdonarmi, ti sto riempiendo la testa di stupidaggini. Le mie sciocchezze. Non dovresti voler essere mia amica, non c’è nulla di buono in me.
Hai bisogno di altra vodka, sentenziò lei, abbassando gli occhi ad analizzarsi le scarpe.

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