domenica 20 giugno 2010

C 7 Nervi Scoperti .







I giorni passavano. Nulla. Non accadeva nulla. Inspirava forte il sapore del nulla. Il buio le baluginava davanti. Nella sciarpa fucsia, l’unico particolare che potesse distinguerla dalla notte. Viso pallido, vampiresco, a parte. Lilith si sfiorava le labbra con le dita gelide. Pioveva. Come quella volta. Pioveva e le si strappava il cuore. Come un motore di una vecchia Panda che graffiava tentando di celare la sua età. Negli occhi qualcosa che rasentava una nebulosa grigia. Le pupille vitree. Stava fumando troppo, le veniva da tossire. Sentiva la gamba tremarle. Eggià. Come empatizzare oltre ogni limite. Le labbra sulle labbra. Respiri di silenzi. Ricordava con perfezione il momento in cui le loro bocche si erano toccate. O meglio, Luxor l’aveva baciata. Poi aveva ignorato l’accaduto. Semplicemente non era successo. Il niente. Ecco il punto. La pioggia le bagnava le mani, le dita sulle labbra, il freddo pungente. Quella panchina dove erano iniziati i suoi guai. Era sola, come sempre. Nei momenti in cui vale la pena chiedere aiuto si è sempre soli. L’odore del silenzio era pungente, acre. Il fango sulla strada. Il contrasto delle luci, quei lampioni le fagocitavano l’anima.
Non aveva avuto il coraggio di restare sola, così aveva comprato dell’alcol. Al supermarket. Dal tipo strano che sorrideva senza mento. Con i denti gialli e appuntiti, che voleva a tutti i costi passare per simpatico. Gli avrebbe ficcato un coltello nelle budella. Premere su e giù per impedire la cicatrizzazione, come diceva quel libro. Sarebbe crepato in venti minuti. Per imparare ad uccidere un uomo basta leggere romanzi, memorizzare e intrecciare le vicende. Per vivere bastava guardare fiction in tv, e sorridere, sorridere sempre. Aveva preso della Vodka, e delle caramelle gommose. Mancava solo Luxor. Era l’assenza la nuova presenza. Palahniuk non mente.
L’assenza.
Le correva nelle vene. Le bruciava l’anima. Viva e morta. Veleno dei poveri.
Luxor non c’era.
Le aveva scritto un messaggio. Alle prove aveva conosciuto una ragazza. Non gli piaceva granché, ma lei pareva adorarlo. Mangiarlo con gli occhi. Voleva uscire con lui.
Quelle parole le correvano davanti agli occhi, spilli nella carne. Assideramento.
Bene, buona fortuna.
Era riuscita a rispondergli solo quello.
Buona fottutissima fortuna.
Divertiti e non pensare alla Stronza. La presenza che comunque si frapponeva tra loro due, se mai un loro due ci fosse mai stato. Lei che era bella e seducente, con le gambe storte e il naso alla Carrie, e che era bella da far male, al punto che lui dimenticava perfino il dolore per la mancanza dell’Innominata per bruciare come una falena al fuoco dell’ossessione.
Quante assenze le impedivano di essere viva.
Luxor non c’era.
Le malattie a volte non hanno bisogno di un patogeno per manifestarsi.
A volte il patogeno non deve essere necessariamente virale o batterico.
I sentimenti infettano perfino gli appartamenti. Hanno sporcato perfino le capitali. I sentimenti sono il cancro del mondo.
Così lei restava a fissare il vuoto. La settima cervicale scoperta nonostante la pioggia. I capelli ormai viscidi e zuppi nascondevano i suoi occhi.
I nervi scoperti. L’ecatombe. Le esplosioni nucleari di Chernobyl.
Lilith per questo aveva una bottiglia di Vodka sotto la pioggia. E non piangeva. E fissava il vuoto.
E lasciava che il vuoto potesse, attentamente, guardare lei.

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