mercoledì 6 gennaio 2010

Al sapore di Ansiolitici.



Tom ha gli occhi grigi ed un'espressione cupa ad arricciargli le labbra.
Modula la voce, fuma sigarette guardandosi le scarpe masticate dalle mille strade che ci separano. Respira al ritmo delle lampadine fulminate quando fuori le falene si spalmano come marmellata sulle panchine, trafitte dall'alta tensione e dal tremolio stinto dei marciapiedi violentati dalle metropolitane. Seduto immancabilmente per terra, a due passi dalle manifestazioni islamiche e dal Duomo, l'attenzione rapita da una vetrina stracolma di libri. Sussurra che merda, sono porcate quelle che pongono all'attenzione dei compratori.L'avvelenata nelle orecchie, che porta sempre bene mandare a fanculo tutto il resto.
Un giorno mi sono sentita quasi avvolgere dalla sua presenza.
Non mi capitava di scrivere di lui da parecchio. Mi si è plastificato addosso, dal lontano 2002. Poi lo schermo del computer mi suggerisce sempre le 22 e 09 e ripenso al 22 settembre in cui lo sognai. Prima di quel terremoto che ci ha fracassato le costole. Prima delle complicazioni e delle fissazioni per cui ti cadono i capelli.
Pensavo che presto mi toccherà tornare a Milano. Dieci giorni e poi di nuovo fare le valigie e lasciarsi indietro i calzini sporchi, gli appunti indecifrabili e i pasti dai prezzi irragionevoli della mensa. A colazione discorsi indecifrabili, il cappuccino del bar dei cinesi e tu che succhi il cucchiaino con la perizia di un investigatore segreto. Questa città sorretta dall'Esselunga, dal perbenismo delle pellicce troppo costose, dai ragazzini dai capelli tinti di nero e dalle suore che spuntano come tumori maligni in ogni dove provocando sconforto negli anfratti più segreti della propria milza o spleen, per essere internazionali e facilmente poetici. I globuli rossi vengono fatti a pezzettini e De Andrè erompe, un orgasmo di parole, i suoni si possono tastare, le unghie graffiano, la malinconia ti cola sulle ginocchia gialla e azzurra come appare nella mente.
Faceva freddo e la solitudine si poteva tagliare con il coltello. Negli infiniti viaggi in treno in cui attraverso l'Italia con una rabbia in corpo crescente di regione in regione. Sei ore per tornare in quella bolgia. Per sfuggire ai contrattempi. Le dilatazioni spaziotemporali fanno meno paura delle tue gambe incrociate.
Intanto ho passato una notte insonne a ripensare che sono finiti questi giorni sdruciti che puzzavano spesso di vomito e fumo, quello che ti fa tossire per sempre, che ti incrosta i polmoni e ti rende la voce degna di urlare Piromani.
Mi sento obbligata ad amarti. Il tuo respiro inesistente mi ticchetta nelle orecchie, rintocchi di tamburo al sapore di ansiolitici.

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