martedì 5 gennaio 2010

Quel che resta del Long Island.

Dio ora te ne vai.
Con le tue parole incomprensibili.
Mi si blocca la digestione e qualcosa non vuole estinguersi a due passi dalle labbra.
Mi domando se sia possibile impedire al sei gennaio di arrivare.
Invece sono le 3 e praticamente la puttana dal naso affilato già ha masticato questi giorni incredibili tra i suoi canini affilati.
Ti stavo addosso e l'intero bar sapeva di fine.
Ti ho chiesto di tornare, mi hai risposto vagamente.
Scusami se ti cingevo il braccio troppo forte, non sono fatta per il perbenismo.
E come diademi ci incastonavano gli abbracci degli addii, addio per sempre, alla prossima festa, ai prossimi baci che non torneranno mai. Perchè è sbagliato sporcarsi con i reciproci residui organici mentre tutto tace e le luci di Natale ci sguinzagliano addosso la loro opulente superbia.
Come posso scriverti in una pagina di messaggio che potrei vendermi al peggiore bar di Caracas la dignità per rivederti.
Al pub un ritornello da sciacquette e qualche maglia a maniche corte a sventolarci a due passi dal naso. Ti picchiavo forte, mi schiacciavi contro il vetro che si appannava. La mia vecchia fissazione a due passi e si cercano i recapiti degli scomparsi su Raitre tanto per far televisione.
Con l'incoscienza dentro le tasche e i cellulari che poi li smarrisci e le birre che si rigenerano. I pedoni schiacciati da gomme troppo costose per risarcire i danni.
I bidoni di Bologna profumavano di rum e ti ordino da bere stringendoti il braccio con rabbia, mentre tu fingi di non ricordare.
Sappiamo benissimo che i brandelli dei nostri cuori non sono riciclabili.
Non ci resta che ingoiare quel che resta del Long Island e sorriderci a distanza di due marciapiedi.
Perchè dopotutto io sono solo una grossa idiota e tu un aspirante terrorista che si professa anarchico giocando al Nintendo.
Mi si sono chiuse le valvole cardiache al pensiero che domani non saprò chi tormentare.
Torna sabato, fallo per me.

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